La fuente del ritmo (“La fonte del ritmo”)
Nato il 20 Luglio 1947 ad Autlan de Navarro, in Messico, Carlos Santana, figlio di musicisti mariachi (vagabondi) iniziò a suonare il violino a soli cinque anni. “Mio padre mi diceva sempre che la musica, qualsiasi tipo di musica, che venga suonata in una cantina o in una chiesa, ha il potere di rendere felici le persone”. A otto anni abbandonò lo strumento classico per dedicarsi alla più popolare chitarra ed emulare così i suoi idoli, da B.B. King a John Lee Hooker; entrò quindi, alla metà degli anni Cinquanta, in alcuni gruppi blues di Tijuana e Jalisco. Nel 1966 la sua famiglia si trasferì a San Francisco e lì, formata la Santana Blues Band insieme a Gus Rodrigues, Tom Frazer, Rod Harper, Michael Carabello e Gregg Rolie, iniziò a farsi notare in alcuni locali minori. Si era in piena epoca hippy e il carattere libero e “selvaggio” del chitarrista fece immediatamente colpo sul pubblico che affollava i teatri con il Fillmore West Ballroom, vero tempio della musica giovanile americana.
La consacrazione per Santana e la sua band arrivò nel 1968: il 16 agosto, sul palco di Woodstock, il chitarrista infiammò il pubblico con un brano travolgente, dal riff semplice ma efficacissimo, che sapeva di rock ma anche di infuocati ritmi latini: Soul sacrifice. “La nostra performance a Woodstock è stata grandiosa, al di là delle nostre capacità” ricorda Santana; “…ci sentivamo potenti e immortali sul palco. Il nostro desiderio era quello di illuminare la vita di quei ragazzi…Woodstock è stato per me qualcosa di spirituale e unico”.
Tre mesi dopo uscì l’album di debutto della band: Santana fu un successo, bissato l’anno successivo con l’uscita del mitico Abraxas, disco nel quale Santana si imponeva come uno dei maggiori chitarristi al mondo, anche grazie ad una formidabile tripletta di brani: Black Magic Woman, Samba pa ti, Oye como va. Il suono di Santana e della sua band era fortemente caratterizzato da influenze latine. Il chitarrista, barba e capelli lunghi, incarnava perfettamente quel che di selvaggio e irrefrenabile aveva la sua musica. “Suonavamo al di là delle etichette…Eravamo una band di strada che suonava musica da strada. Credo che in parte fosse questo il nostro segreto” ricorderà Mike Shrieve, batterista del gruppo dal 1969. Dopo l’uscita di Santana III, però, qualcosa iniziò a cambiare: lo stress da successo provocò nel chitarrista una forte depressione, cancellata dall’incontro con il guru indiano Sri Chinmoy. Dalla conseguente conversione nacquero Caravanserai, che segnò l’entrata del gruppo nel mondo del jazz, e nel 1973 Welcome, un album bellissimo e intenso che sostituiva l’irruenza degli inizi con la ricerca spirituale e l’avvicinamento al jazz e all’improvvisazione. Il Carlos Santana dei primi tempi era ormai diventato Devadip (“La luce della lampada di Dio”), nome impostogli da Chimnoy, che lo spinse anche a trovare un felicissimo connubio con John McLaughlin concretizzatosi nell’album Love Devotion Surrender. L’attività del chitarrista fu, in quel periodo, frenetica. Nel ’74 Illuminations, inciso con Alice Coltrane, vedova del grande John, nonché Bomboletta; nel ’75 produsse anche il triplo live Lotus registrato in Giappone: cinque album (tutti eccellenti), di cui uno triplo, in due anni!
Da quel momento, però, per Santana inizierà la parte più povera (artisticamente) e più ricca (economicamente) della sua carriera, realizzando tutta una serie di album pressoché anonimi, tra i quali forse il solo Zebop! del 1981 offre qualche vestigia dell’antica forza. Alla fine anche il pubblico sembrò dimenticarlo, tornando ad interessarsi a lui solo alla fine degli anni ’80 grazie a buoni album come Blues for Salvador (1987), Milagro (1992) e Nineteen Sixty Eight (1993). La carriera poi si è molto commercializzata e seppur con facili collaborazioni (si veda quella con Michelle Branch) non ha dato vita a grandi esperienze: infatti molto successo hanno dato solo gli album del Greatest Hits (compresa The Ultimate Collection) e Supernatural.
Caratteristica del linguaggio musicale del periodo d’oro di Santana è stata l’unione della canzone tradizionale di origini latine con le sue forme classiche (I minore, IV minore, V maggiore) all’uso degli accordi di VII maggiore, caratteristici della musica brasiliana e ben poco usati nei fraseggi rock. Non a caso uno dei brani più noti di Santana è Europa, in cui il suono lacerante della chitarra si sposa con un linguaggio melodico che confina con il melodramma e arriva a ricordare certi motivi della canzone popolare napoletana. Santana ha attraversato diverse fasi musicali; all’inizio il suo tocco ruvido e sgranato testimonia un uso particolare della mano destra, con conseguenti suoni semidistorti. Poi, il sodalizio con McLaughlin per Love Devotion Surrender lo porta ad una maggiore pulizia e precisione, grazie anche all’uso massiccio di preamplificatori e dell’effettistica di sustain. Da qui suoni più morbidi e meno distorti, fraseggi più veloci ma nello stesso tempo meno “acidi”, un uso particolare della timbrica che lo avvicinano a sonorità più tipicamente violinistiche.
Strumentazione: è davvero molto semplice identificare la sua strumentazione, visto che ha sempre usato Gibson (prima SG, poi Les Paul), tranne un breve periodo in cui adottò una chitarra acustica appositamente costruita per lui dalla Yamaha. Ultimamente ha usato anche una chitarra Paul Reed Smith, ma con microfoni P.A.F. Gibson. Dagli amplificatori Fendere degli inizi, nel ’73 è passato ai Mesa Bolgie con speaker Altec che tuttora adotta.